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La pandemia non ferma le celebrazioni nella nostra comunità parrocchiale dei Santi XII Apostoli di Chieti Scalo e, come tutti gli anni, il tempo forte della Quaresima è preceduto dai consueti tre giorni di Adorazione eucaristica, noti anche come “Quarantore”. Lo spirito di questa pia pratica può trovare fondamento nelle parole del Santo Padre Francesco: “Invito ogni cristiano, in qualsiasi luogo e situazione si trovi, a rinnovare oggi stesso il suo incontro personale con Gesù Cristo o, almeno, a prendere la decisione di lasciarsi incontrare da Lui, di cercarlo ogni giorno senza sosta”[1]. Durante le tre giornate il Santissimo Sacramento è stato esposto sin dalle prime ore del mattino sull’altare principale. È stato un tempo in cui Gesù vivo e vero ha lasciato il nascondimento del Tabernacolo per offrirsi all’adorazione silenziosa di chiunque abbia avuto il desiderio di stare con Lui cuore a cuore, in un silenzio rotto solo dal respiro e dalle campane che coi loro plumbei rintocchi segnano lo scorrere inesorabile delle ore. In quei momenti, dove le nostre anime si sono trasfigurate con colui che è tutto amore, il Cristo vero Dio e vero uomo, ognuno di noi ha potuto far sue le parole di Pietro sul Tabor: “Signore, è bello per noi restare qui”[2]. Giunto il pomeriggio, il periodo di adorazione ha trovato compimento con la benedizione e la celebrazione della Santa Messa. Di seguito vengono riportati i contenuti delle catechesi che hanno avuto luogo durante le tre omelie.
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La Santa Messa di domenica, 14 febbraio 2021, è stata celebrata dal nostro parroco, Don Emiliano Straccini, e il tema della catechesi è stata “L’Eucarestia e la carità”. In quello stesso giorno la Chiesa si è unita alla celebrazione della XXIX Giornata mondiale del malato dedicando il Vangelo del giorno all’episodio ove Gesù guarisce il lebbroso[3].
Quest’ultimo, a quei tempi, veniva considerato un portatore di una peste fisica e morale in quanto si credeva che la decomposizione del corpo rispecchiasse quella del cuore, ragion per cui era un essere da evitare e scacciare, un essere considerato nulla agli occhi degli uomini e di Dio. Chi soffriva di questo morbo era tenuto a tenere il volto perennemente coperto e a gridare la sua presenza in modo che fosse immediatamente riconosciuto ed evitato a tutti i costi dai sani della società. Questi tristi figuri si aggiravano per il mondo come morti viventi, ma quando arriva Gesù accadono cose straordinarie: uno di loro, disperato, ma certamente anche colmo di speranza, rompe le distanze avvicinandosi al Figlio di Dio che si muove a compassione e fa nuove tutte le cose. La reazione scandalizzata della gente manda in collera Gesù in quanto l’infermità non è conseguenza del peccato, come si voleva credere. Il valore dell’accoglienza verso un sofferente deve andare oltre i pregiudizi e le vuote preghiere rette da effimeri formalismi! Gesù porta al mondo un modo nuovo di pregare: quello di accogliere Dio[4]. Il lebbroso si rivolge a nostro Signore dicendo: “Se vuoi, puoi purificarmi!” e la risposta è: “Lo voglio, sii purificato!”. Quale atto di fede dove nell’assoluta sofferenza ci si rimette totalmente a Cristo!
Secondo il teologo Jean-Marie Roger Tillard, il Vangelo ci porta a concepire l’Eucaristia come una scuola di comunità[5]. In questo tempo di prova, stiamo sperimentando quanto la solitudine possa essere fonte d’angoscia al solo pensiero di ritrovarsi senza un aiuto, ragion per cui attraverso l’Eucaristia siamo chiamati a ricordarci che la nostra natura umana è relazionale perché siamo portati a vivere gli uni con gli altri[6]. Gesù ci chiede di colmare la nostra vita con la compassione verso gli altri, esattamente come Lui ha saputo fare con ciascuno di noi. Solo con Lui ogni solitudine è frantumata, solo con Lui mai possiamo dirci soli, è con Lui che tutti noi siamo parte di una Comunione[7]. Dal Corpo di Cristo possiamo trarre quella forza per poter essere anche noi pronti a portare il balsamo della speranza in un’umanità lacerata.
“Che cosa ne abbiamo fatto dell’Eucaristia?”: è questa la domanda che si pone il vescovo Helder Camara[8]. La stessa domanda ce la possiamo porre anche noi qualora ci soffermassimo a notare come il nostro approccio a questo Sacramento sia cambiato nel corso degli anni. Se un tempo s’era troppo rigidi, oggi si nota un’eccessiva disinvoltura nell’accostarsi a riceve il Corpo di Cristo. La via maestra, tuttavia, è quella che predilige il senso della misura, quella che il poeta latino Orazio esprime con il motto “Est modus in rebus”[9]. La comunità è fraternità quando mette al centro il Cristo perché solo in Cristo non siamo fotocopie, ma ognuno di noi diventata una differente potenzialità secondo quello che è chiamato a dare; nella comunità tutti siamo chiamati ad essere occasione di guarigione e di salvezza.
Nella Cena eucaristica ognuno di noi si mette in ascolto del carisma che gli viene affidato. Semmai dovessimo sentirci scoraggiati, dobbiamo sforzarci di lasciarci abbandonare dalla volontà del Padre: teniamo bene a mente che ognuno di noi davanti all’Eucaristia impara a non essere vano. Santa Teresa di Lisieux ci ricorda che attraverso l’umiltà e la via piccola si giunge al tesoro inesauribile dell’Eucaristia[10]. Sia essa al centro della vita parrocchiale, al centro della vita dei giovani, al centro di ogni famiglia, soprattutto di quelle famiglie che vivono momenti di tribolazione e fatica.
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La Santa Messa di lunedì, 15 febbraio 2021[11], è stata celebrata da Don Enzo Massotti, presbitero della Diocesi di Avezzano e padre spirituale del Seminario maggiore di Chieti, insieme al parroco Don Emiliano Straccini che l’ha concelebrate, e al giovane siminarista Jegadesh che ha invece prestato il suo servizio così come fa ogni domenica presso questa comunità parrocchiale. I ragazzi che il prossimo settembre riceveranno il sacramento della Cresima hanno presenziato in gran numero, insieme ai loro catechisti. Non a caso il tema della catechesi tenuta nell’omelia è “L’Eucaristia e i giovani”.
La riflessione inizia con la lettura di un testo del poeta francese Christian Bobin: “Al momento della Comunione, durante la Messa di Pasqua, la gente si alzava in silenzio, raggiungeva il fondo della chiesa, poi tornava a piccoli passi, avanzando fino al coro dove riceveva l’ostia da un prete barbuto con gli occhiali cerchiati d’argento. Seduto in fondo alla chiesa, in attesa del mio turno per unirmi al corteo, guardavo le persone, i loro abiti, le loro schiene, il profilo dei visi. Per un secondo mi si è aperta la vista, ed è l’umanità intera, i suoi miliardi di individui, che ho scoperto avvolta in questa colata lenta e silenziosa: vecchi e adolescenti, ricchi e poveri, donne adultere e ragazzine seriose, pazzi, assassini e geni, tutti, come morti uscivano senza impazienza dallo loro notte per andare a mangiare la luce. Allora ho capito cosa sarebbe stata la resurrezione e quale sbalorditiva calma l’avrebbe ricevuta. Questa visione è durata un secondo soltanto”[12].
In questo testo possono immedesimarsi tutti, giovani e meno giovani, presenti e assenti, appartenenti a tutte le parrocchie di ogni città e paese. In questo testo c’è il vissuto di tutta l’umanità, c’è soprattutto il vissuto dei ragazzi studenti, magari delusi e stanchi della scuola o alle prese con incomprensioni da parte dei professori o dei genitori. In questo testo ci sono ragazzi innamorati, ragazzi traditi, incompresi, isolati, quelli che non hanno progetti per il futuro o che hanno tanti sogni per il domani, quelli alle prese con grossi problemi famigliari come la separazione dei genitori o la malattia un caro parente e che sfogano il rancore e la tristezza nell’alcool o nelle droghe. Con l’ausilio di questo testo poniamoci delle domande: cosa mi sta dicendo l’Eucaristia? Cosa sta dicendo, proprio a me, che mi trovo in una situazione di vita che solo io conosco? Cosa avrebbe da dirmi un Dio che si fa pane fragilissimo, piccolissimo, senza una bellezza particolare a vedersi.
Le parole di Bobin espongono un concetto umanamente impossibile, quello del mangiare la luce. Pensiamo ai due sensi del gusto e della vista, pensiamo alle sensazioni o alle emozioni che suscitano in noi; l’Eucaristia ci invita a gustare di quella gioia che conferisce sapore alla vita, che le dà bellezza, che accende qualcosa di nuovo perché il Signore offre qualcosa di diverso a ciascuno di noi. Gesù ci dice: “Nutriti di me, che sono la luce, che sono l’amore”.
C’è un modo molto bello in cui il benedettino Daniel-Ange si riferisce a Gesù: “Il tuo nome di brace”[13]. Gesù arde come una brace al desiderio di accoglierci! Non temiamo di accostarci a Lui, anche se siamo stanchi o abbiamo fallito, restiamo con Lui e parliamogli della nostra vita, anche delle cose che possono sembrarci futili, delle nostre love story o delle nostre illuminazioni, perché Egli non giudica, ma ci ascolta e ci dice “Io sono salito sulla croce per te, lavo i piedi anche a te, per questo ti propongo un significato diverso da dare alla tue giornate”.
Sì, mangiare la luce non è un’espressione folle, ma è una cosa concretamente possibile perché solo l’amore donato da Dio dà un sapore buono alla nostra vita, illumina i passi da compiere ed è un cibo che ci rende luminosi. Ci rende talmente luminosi che diventare attraenti, ma non come i personaggi del Grande fratello vip; la nostra bellezza in Gesù risiede nell’animo. Quando il nostro animo si trasfigura in Lui è bello a prescindere perché sprigiona gioia, amore e serenità.
Consideriamo questo passaggio della Christus vivit, con la quale Papa Francesco si rivolge proprio ai giovani: “A volte, i complessi di inferiorità possono portarti a non voler vedere i tuoi difetti e le tue debolezze, e in questo modo puoi chiuderti alla crescita e alla maturazione. Lasciati piuttosto amare da Dio, che ti ama così come sei, ti apprezza e ti rispetta, ma ti offre anche sempre di più: più amicizia con Lui, più fervore nella preghiera, più sete della sua Parola, più desiderio di ricevere Cristo nell’Eucaristia, più voglia di vivere il suo Vangelo, più forza interiore, più pace e gioia spirituale”[14].
Possiamo vivere l’Eucaristia come Messa e come Adorazione, da persona attesa dal Signore, piuttosto che come credente che va in chiesa per mera abitudine. Perché vado in chiesa? Vado in chiesa perché sono atteso dall’Eucaristia. E cosa potrebbe cambiare in chiesa? Noi tutti siamo qui non perché siamo stati obbligati, magari perché siamo stati invitati, ma soprattutto perché siamo attesi dal Signore. Tutti possiamo dire: “Cristo attende proprio me!”. C’è qualcun altro nella nostra vita che ci attende senza porre condizioni? Mamma e papà ci attendono; il nostro fidanzato ci attende, ma con delle condizioni. Solo Gesù ci attende senza condizioni.
Riflettiamo su un altro passaggio del magistero del Santo Padre: “Come nel miracolo di Gesù, i pani e i pesci dei giovani possono moltiplicarsi (Gv 6, 4-13). Come avviene nella parabola, i piccoli semi dei giovani diventano alberi e frutti da raccogliere (Mt 13, 23. 31-32). Tutto questo a partire dalla sorgente viva dell’Eucaristia, in cui il nostro pane e il nostro vino sono trasfigurati per darci la Vita eterna. Ai giovani è affidato un compito immenso e difficile. Con la fede nel Risorto, potranno affrontarlo con creatività e speranza, ponendosi sempre nella posizione del servizio, come i servitori di quella festa nuziale, stupefatti collaboratori del primo segno di Gesù, che seguirono soltanto la consegna di sua Madre: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela» (Gv 2, 5). Misericordia, creatività e speranza fanno crescere la vita”[15].
Nella Santa Messa il pane e il vino diventano il Corpo e il Sangue del Cristo; quel pane e quel vino sono l’offertorio della nostra giornata lavorativa, dei nostri affetti famigliari, della nostra fatica affrontata nel fare un compito in classe di matematica. Proviamo a pensare quali piccoli semi sono già presenti nelle nostre mani, quali semi di qualità, di capacità e di successi. Questi semi non sempre coincidono coi like di Facebook o di Instagram e per questo sono più difficili da scoprire, ma il Signore che ci ama e ci aiuta nell’Eucaristia ce li fa notare. Queste qualità sono nascoste in noi perché sono fatte per essere custodite e per diventare offertorio al Signore. Solo Egli ci fa scoprire questi segni, ci fa notare le nostre qualità invece degli errori, i pregi che gli altri non vogliono conoscere. A Dio non importa la qualità della borsa, la marca delle scarpe o il modello del telefonino, a Dio importa cosa c’è dentro il nostro cuore. Solo Dio può sapere quali sono le nostre preghiere, i nostri gesti d’amore, la nostra voglia di aiutare chi si trova in difficoltà.
Così il Papa continua: “Ci sono doni di Dio che sono sempre attuali, che contengono una forza che trascende tutte le epoche e tutte le circostanze: la Parola del Signore sempre viva ed efficace, la presenza di Cristo nell’Eucaristia che ci nutre, il Sacramento del perdono che ci libera e ci fortifica”[16].
Quante domande importanti in questi mesi segnati dal Covid: per tutte queste morti? Perché tanta gente che si ammala o diventa così impoverita? Perché dover restare a casa senza abbracciarci? Perché tanti condizionamenti, come l’uso delle mascherine e il distanziamento sociale? L’Eucaristia non è un algoritmo o una voce di Wikipedia che contiene una soluzione matematica e concisa, ma ci dice che tutti possiamo vivere questo tempo difficile giocando la partita di un amore vero e sincero, con un modo nuovo di essere vicino agli altri. L’omelia si conclude con un desiderio che il vescovo di Roma esprime con tutto il suo cuore: “Cari giovani, […] correte «attratti da quel Volto tanto amato, che adoriamo nella santa Eucaristia e riconosciamo nella carne del fratello sofferente. Lo Spirito Santo vi spinga in questa corsa in avanti. La Chiesa ha bisogno del vostro slancio, delle vostre intuizioni, della vostra fede. Ne abbiamo bisogno! E quanto arriverete dove noi non siamo ancora giunti, abbiate la pazienza di aspettarci»”[17].
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La Santa Messa di martedì, 16 febbraio 2021[18], a conclusione dei tre giorni delle Quarantore, è stata nuovamente celebrata da Don Enzo Massotti e concelebrata dal parroco Don Emiliano Straccini. Il tema dell’ultima catechesi omiletica è “L’Eucaristia e la famiglia”.
“O Dio, nostro Padre, che nella santa Famiglia ci hai dato un vero modello di vita, fa che nelle nostre famiglie fioriscano le stesse virtù e lo stesso amore, perché, riuniti insieme nella tua casa, possiamo godere la gioia senza fine”. Queste sono le parole che si recitano nella preghiera di colletta della Santa Messa della festa della Sacra Famiglia. Le nostre famiglie sono una sola cosa riunita attorno al Signore che è presente qui in chiesa, ma anche nelle nostre case. Il buon Dio non sceglie le famiglie-modello che sono presenti negli spot pubblicitari. Quelle famiglie non esistono. Il buon Dio sceglie famiglie reali, attraversate dalle gioie e dai problemi della realtà quotidiana.
Consideriamo le parole del nostro pontefice: “La presenza del Signore abita nella famiglia reale e concreta, con tutte le sue sofferenze, lotte, gioie e i suoi propositi […]. La Bibbia è popolata da famiglie, da generazioni, da storie di amore e di crisi familiari, fin dalla prima pagina, dove entra in scena la famiglia di Adamo ed Eva, con i suo carico di violenza, ma anche con la forza della vita che continua (Gen 4), fino all’ultima pagina dove appaiono le nozze della Sposa e dell’Agnello (Ap 21, 2. 9)”[19].
C’è un filo conduttore che attraversa i secoli e che, senza interruzione, mette sullo stesso piano la prima famiglia con quella di Nazareth e con le nostre che popolano le cinque palazzine o le case di Viale Abruzzo. Questo filo è il Signore Dio che nelle famiglie realizza la sua opera di salvezza.
Nelle prime comunità cristiane “lo spazio vitale di una famiglia si poteva trasformare in una chiesa domestica, in sede dell’Eucaristia, della presenza di Cristo seduto alla stessa mensa. Indimenticabile è la scena dipinta nell’Apocalisse: «Sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3, 20). Così si delinea una casa che porta al proprio interno la presenza di Dio, la preghiera comune e perciò la benedizione del Signore”[20].
Agli albori del cristianesimo non c’erano ancora le chiese vere e proprie e neanche le parrocchie. Per questo lo spezzare il Pane avveniva dentro le case di semplici cittadini. Nello spazio domestico si riuniva la famiglia della comunità: in tal modo la casa si trasformava in chiesa domestica, la casa diventava la sede dell’Eucaristia[21]. Pensiamo alle nostre case dove c’è sicuramente almeno un crocifisso o un’immagine mariana. Con la benedizione che il sacerdote compie nel periodo di Pasqua il Vangelo entra dentro di esse, è Dio stesso che prende dimora nei nostri rifugi domestici e nei nostri cuori. Ognuno di noi può dire: “Ecco, questa è casa mia, è la casa dove sono nato, da dove sono uscito il giorno del mio matrimonio, da dove esco tutti i giorni per andare al lavoro o per andare a far shopping a Megalò; questa è casa mia, essa è abitata da Dio e poco importa se i suoi mobili sono dell’Ikea e di una marca prestigiosa, poco importa se è ben ordinata o meno”. Potremmo meglio dire: “Così può diventare casa mia, se apro ogni giorno la porta a Cristo e lascio che Lui prenda parte con me a tutto, se ci lasciamo amare da Lui e se amiamo come ama Lui”. Il Signore Gesù bussa ogni giorno alla porta di casa di ciascuna famiglia e chiede: “Posso prendere parte alla vostra vita? Posso fare Eucaristia con voi, posso far insieme a voi il rendimento di grazie?”[22].
Lo spezzare l’Ostia consacrata in chiesa non è un semplice rito, ma è un gesto che sta a significare qualcosa di ben preciso: Cristo Signore si fa letteralmente in quattro per noi, esattamente come un genitore si fa in quattro per i suoi figliuoli. È l’Ostia spezzata che alimenta il valore dei sacrifici che una famiglia compie; l’Eucaristia non solo sazia il nostro senso di fame, ma ci libera sempre dal timore di morire per mancanza di amore o di cura. Se manca l’amore, infatti, la famiglia può dirsi morta; ma dove Dio è accolto, lì regna l’amore e quella famiglia che accoglie Dio è viva e abbondante di frutti.
Alla Beata Angela da Foligno, Gesù disse in visione: “Non ti ho amato per finta, ma sul serio”[23]. Allo stesso modo, anche oggi, l’Ostia consacrata dice a tutte le nostre famiglie: “Io vi amo sul serio”. L’Eucaristia esige integrazione nell’unico corpo ecclesiale: chi si accosta al Corpo e al Sangue di Cristo non può, nello stesso tempo, offendere quel medesimo Corpo operando scandalose divisioni e discriminazioni tra le sue membra. Una rivalità tra gruppi o, peggio ancora, all’interno delle stesse famiglie, sono una ferita al Corpo mistico di Cristo che si fa Comunione con noi. È fondamentale “discernere” il Corpo del Signore, di riconoscerlo con fede e carità sia nei segni sacramentali, sia nella comunità; se camminiamo a doppia marcia, scindendo il Sacramento dalla Comunione, si mangia e si beve la propria condanna[24]. La celebrazione eucaristica diventa appello perché ognuno di noi esamini sé stesso al fine di aprire le porte a una maggiore Comunione del Signore. L’apostolo Paolo opera un serio avvertimento per quelle famiglie che si rinchiudono nella loro propria comodità e si isolano, ma soprattutto per quelle famiglie che restano indifferenti davanti alle sofferenze dei poveri e dei bisognosi. La celebrazione eucaristica diventa, così, un costante appello rivolto a ciascuno perché “esamini sé stesso”[25] al fine di aprire le porte della propria chiesa domestica ad una maggior Comunione con coloro che sono scartati dalla società.
Questo concetto lo ribadisce anche il vescovo di Roma quando dice che “la santità è fatta di apertura abituale alla trascendenza, che si esprime nella preghiera e nell’adorazione”[26]. In un’altra occasione, il Papa ci fornisce delle ottime indicazioni pratiche: “Si possono trovare alcuni minuti al giorno per stare uniti davanti al Signore vivo, dirgli le cose che preoccupano, pregare per i bisogni famigliari, pregare per qualcuno che sta passando un momento difficile, chiedergli aiuto per amare, rendergli grazie per la vita e le cose buone, chiedere alla Vergine di proteggerci con il suo manto di madre. Così come la partecipazione all’Eucaristia insieme e negli anniversari legati al proprio matrimonio”[27].
Approfittiamo del tempo forte della Quaresima per trovare momenti di silenzio nei quali pregare per le nostre famiglie, per qualcuno che sta passando un momento difficile, per rendere grazie per le cose buone che ci sono concesse o per fare almeno un segno di croce insieme.
Il Padre della Chiesa Giovanni Cassiano, monaco vissuto tra il IV e il V secolo, dice che, quando i cristiani e le famiglie si riuniscono per celebrare l’Eucaristia, mettono fuori giuoco le forze di Satana[28]. La preghiera fatta insieme permette di scacciare tutte quelle cose negative che tanto male fanno alla vita di tutti i giorni e, al contempo, di accogliere Cristo e la sua pace.
Massimo Festa
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Photo credits by Massimo Festa e Valentina Mascioli
[1] Papa Francesco, Esortazione apostolica Evangelii Gaudium, 2013. [2]Matteo 17, 4. [3] Marco 1, 40-45. [4] San Francesco d’Assisi compone Il mio testamento tra i settembre e l’ottobre del 1226, appena prima di morire. Tra gli episodi della sua conversione si incontra quello del lebbroso attraverso quale il serafico padre afferma di aver incontrato il Cristo sofferente per i peccati del mondo. Questo episodio è tra quelli che più di tutti viene utilizzato per tutto il Medioevo per l’edificazione della figura di San Francesco come alter Christus. [5] Jean-Marie Roger Tillard, Eucaristia e fraternità, 1969. [6] Già nel IV secolo a.C. il filosofo greco Aristotele, nella suo trattato sulla Politica, avanza il concetto di uomo come “animale sociale”. [7] Non è un caso che il termine Comunione sia usato come sinonimo di Eucaristia. [8] Helder Camara, L’eucharistie , exigence de justice sociale, in Parole & Pain, 42, 1971. “Che cosa ne abbiamo fatto dell’Eucaristia?” è il titolo di una conferenza tenuto il 9 marzo 2015 dal monaco di Bose Goffredo Boselli presso l’Istituto diocesano di musica e liturgia “Don Luigi Guglielmi” di Reggio nell’Emilia nell’ambito di un ciclo di incontri in visto dell’Expo 2015 di Milano dal titolo “Società affamata di Dio, di senso, di cibo, di giustizia, di bellezza”. L’intervento è integralmente reperibile presso youtube. [9] Quinto Orazio Flacco, Satire, I, 1, v. 106. Il componimento letterario si data al 35 a.C. [10] Per la conoscenza della produzione manoscritta di Santa Teresa di Lisieux è imprescindibile la consultazione dell’opera, in otto volumi, dell’Edizione critica delle opere complete, edita in italiano nel 1992, contenente tre autobiografie, poesie, preghiere, lettere, otto quadri scenici, appunti e frasi sciolte, nonché una serie di altri testi di incerta attribuzione. [11] Il vangelo del giorno è Marco 8, 11-13. [12] Christian Bobin, Resuscitare, 2003. [13] Daniel-Ange de Maupeou d’Ableiges, Il tuo nome di brace, 1981. [14] Papa Francesco, Esortazione apostolica post-sinodale Christus vivit, 2019. [15] Papa Francesco, Esortazione apostolica post-sinodale Christus vivit, 2019. [16] Papa Francesco, Esortazione apostolica post-sinodale Christus vivit, 2019. [17] Papa Francesco, Esortazione apostolica post-sinodale Christus vivit, 2019. Il papa cita un passaggio della sua riflessione finale alla veglia di preghiera con i giovani italiani tenutasi al Circo Massimo di Roma l’11 agosto 2018. Il testo di quest’ultima è rintracciabile presso L’Osservatore Romano del 13-14 agosto 2018. [18] Il vangelo del giorno è Marco 8, 14-21. [19] Papa Francesco, Esortazione apostolica post-sinodale Amoris laetitia, 2016. [20] Papa Francesco, Esortazione apostolica post-sinodale Amoris laetitia, 2016. [21] Questi luoghi posso identificarsi nelle Domus Ecclesiae. In esse si radunavano i cristiani prima dell’Editto di Costantino (313 d.C.). Sono citate da San Paolo nella Lettera ai romani (16, 5. 11) e nella Prima lettera ai corinzi (16, 19) che menziona un certo Narcisso e i coniugi Aquila e Prisca la cui dimora individuerebbe dove oggi sorge la chiesa di Santa Prisca sull’Aventino, a Roma. Almeno due evidenze archeologiche sono degne di nota: la prima è quella riscontrabile nel sito attualmente occupato dalla basilica romana dei Santi Giovanni e Paolo, databile al I-II secolo d.C.; la seconda è quella di Dura Europos, città della regione mesopotamica facente attualmente parte della Siria. Un graffito permette di datare quest’ultima al 232 d.C. (in ogni caso l’edificazione non va oltre il 256 d.C., anno in cui la città venne distrutta e mai più ricostruita); uno degli ambienti, l’unico ad essere decorato, era usato come battistero per l’ingresso alla comunità cristiana. Col passare del tempo la Chiesa acquista una certa organizzazione e una graduale libertà di culto; in questo contesto le Domus Ecclesiae vengono donate alla nascente istituzione ecclesiastica dai loro proprietari: nascono così i Tituli che prendevano il nome, per l’appunto, dal proprietario donatore. A Roma si individuano almeno 25 casi del genere dei quali è esemplare quello del Titulus Clementis, così definito perché originariamente proprietà di un certo Clemens. Con la messa a punto di un modello architettonico che potesse identificare un edificio di culto come proprio della nuova religione cristiana, su questo sito sorge l’Ecclesiae Clementis che, subendo mutamenti strutturali e decorativi, attraversa i secoli giungendo a noi nella Basilica di San Clemente in Laterano che ancora oggi è possibile ammirare. La chiesa romana di Santa Cecilia in Trastevere, invece, sorge sulle strutture del Titulus Caeciliae. In una nicchia dell’atrium dell’antica domus si è ancora in situ un idolo dei Larii, gli spiriti pagani degli antenati della famiglia e protettori della casa, testimonianza che la famiglia che abitava quella casa era dedita alla pratica il culto antico prima della conversione al cristianesimo. [22]Apocalisse 3, 20. [23] È utile la consultazione del Memoriale della Beata Angela da Foligno nell’edizione critica a cura di Enrico Menestò edita nel 2015. [24] Prima lettera ai Corinzi 11, 29. [25] Prima lettera ai Corinzi 11, 28. [26] Papa Francesco, Esortazione apostolica Gaudete et exultate, 2018. [27] Papa Francesco, Esortazione apostolica post-sinodale Amoris laetitia, 2016. [28] Augustine M. C. Casiday, Tradition and theology in St John Cassian, 2007.
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